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Recagno,Fillea Cgil: Morti bianche, il lavoro nero una delle cause principali

Per quanto riguarda la provincia di Savona i dati riferiti dall’Inail per il 2006 parlano di ben 6732 infortuni in provincia di Savona, lo 0,72% rispetto al totale di 935000 e l’1,17% rispetto al totale del nord Italia. Gli infortuni mortali sono stati invece 6, il 2,32% rispetto al totale di 258 morti bianche, e questa non è una cifra su cui scherzare se si pensa che è un dato provinciale.
Mario Recagno, segretario generale della Fillea–Cgil, interviene sull’argomento: “Ogni morte, ogni incidente sul lavoro non sono solo dei drammi ma devono essere letti come nostre sconfitte. Rendere il lavoro sicuro, spezzare la tragica catena di infortuni e morti è la necessità che deve accomunare tutte le parti in causa. Abbiamo dato avvio ad una vera e propria offensiva sulle politiche del lavoro, in pochi mesi sono stati compiuti significativi passi in avanti sul piano operativo, con l’intensificazione dell’azione di vigilanza e di ispezione e con lo stimolo alla prevenzione e all’emersione del lavoro nero”.
La precarietà e il lavoro nero soprattutto da parte di immigrati favorisce, purtroppo, il fenomeno. La formazione, nelle piccole imprese, è scarsamente diffusa, e i dipendenti vengono messi a fare dei lavori che non hanno mai fatto. Se il lavoro è poco sicuro, sono i lavoratori standard, quelli con il posto fisso, a saperlo prima. Gli altri, gli atipici, o ancora peggio quelli in nero, non lo sanno o hanno spesso una percezione minore dei rischi che davvero corrono.  Il settore dell’edilizia è quindi maggiormente a rischio proprio per questi motivi.

Gli infortuni nell’ambito del sommerso rappresentano un fenomeno sconosciuto alle statistiche ufficiali. Spesso tali infortuni non vengono denunciati: com’è la situazione nella nostra provincia?
“In un settore come quello dell’edilizia è più evidente, rispetto ad altri settori, l’inquinamento del mercato, la perdita del senso della legalità; lavoro nero, evasione contributiva e fiscale, mancato rispetto delle norme contrattuali e legislative, assoluta precarietà delle condizioni di lavoro e di sicurezza, infiltrazioni malavitose che minacciano chi denuncia e pretende legalità sono molto estesi su tutto il nostro territorio”. Continua Recagno “In questi anni si è lavorato molto nel settore edile, sul versante contrattuale, per la prevenzione e la sicurezza nei cantieri. A livello provinciale abbiamo realizzato il potenziamento del Comitato Paritetico Territoriale per la Prevenzione Infortuni, l’Igiene e l’ambiente di lavoro; sono stati nominati i Rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza territoriale; sono stati effettuati corsi di formazione per più di 3000 lavoratori, corsi per rappresentanti dei lavoratori e responsabili alla sicurezza e infine un protocollo di intesa con le associazioni datoriali (Costruttori edili e Associazioni Artigiane) per contrastare il lavoro nero ed illegale. Ma tutto ciò non è bastato a ridurre gli infortuni e in edilizia si continua a morire. Gli incidenti nei cantieri sono spesso figli dell’illegalità e del lavoro nero che pesa più del 30% della nostra provincia; non solo, sono anche figli di infiltrazioni malavitose che minacciano chi denuncia e pretende legalità e di una pubblica amministrazione che non ‘vede’ cosa accade nei tanti cantieri della nostra provincia, rilasciando licenze per costruire senza mai verificare in questi cantieri se vi sia il rispetto per la legalità e la sicurezza. Potrebbe essere una bella inchiesta indagare sulle morti avvenute in questi anni e vedere quanti casi si sono conclusi e quanti imprenditori, coordinatori per la progettazione dei piani di sicurezza hanno pagato…”.

Quali sono le misure da adottare? Qualcosa è stato fatto?
“Occorre promuovere una nuova campagna di massa che tenga insieme l’azione di denuncia con quella contrattuale ed anche per accrescere la consapevolezza dei lavoratori. Ritengo utile una nuova ‘alleanza’ con gli operatori della prevenzione per intervenire non solo sugli infortuni ma anche sulle malattie professionali. Abbiamo condiviso il pacchetto delle misure che il Governo ha adottato e che assume l’obiettivo della lotta al lavoro nero ed irregolare. Di particolare importanza è per noi quella relativa alla comunicazione dell’avvenuta assunzione dei lavoratori 24 ore prima dell’inizio del lavoro…”.

Questo per mettere fine a una strana coincidenza: le vittime degli infortuni erano sempre state assunte proprio il giorno stesso dell’incidente…
“Esattamente! Altrettanta importanza abbiamo assegnato al cartellino individuale di identificazione del lavoratore, provvedimento che avevamo già introdotto in sede negoziale e che ci proponiamo di estendere a tutte le imprese indipendentemente dal numero dei lavoratori.
Infine la sospensione dell’appalto nei confronti delle imprese con oltre il 20% di lavoratori irregolari, il che non significa che fino al 20% vi è un salvacondotto per irregolarità!”.
Sul fronte della normativa in materia di sicurezza sul lavoro, soltanto nel 1994, con grave ritardo sugli altri paesi dell'Unione Europea, l'Italia ha recepito le direttive in materia di sicurezza sul lavoro, sulle quali si è riscontrata la forte opposizione dei datori di lavoro che le ritenevano eccessivamente onerose.
Il decreto legislativo 626 del 1994 ha lo scopo di prescrivere misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori durante il lavoro, in tutti i settori di attività. Propone un sistema di gestione permanente e preventivo per la sicurezza dei lavoratori attraverso l’individuazione e la valutazione di potenziali fattori di rischio.
“Dire che occorre applicare correttamente la 626 e la 494 significa dire un’ enorme ovvietà – sottolinea Recagno - è più utile parlare del contesto che dovrebbe applicarla e allora il ragionamento si fa un po’ meno ovvio. Infatti è nelle condizioni di irregolarità e illegalità diffusa che viene a generarsi una quota non indifferente degli infortuni. Ecco perché la nostra battaglia contro il lavoro nero rappresenta il punto centrale della nostra azione a tutela delle condizioni di lavoro nel settore!”.
“Le leggi da sole non bastano: non è la 626 in quanto tale a evitare gli infortuni ma la sua corretta applicazione. Il che non avviene, non certo per il carattere repressivo delle norme, quanto per una scelta diffusa in una larga parte delle imprese a considerare i costi della sicurezza un impedimento all’attività delle stesse. Deve proprio cambiare la cultura, è nel patrimonio dei valori delle persone che si deve insediare la cultura della sicurezza. La sicurezza deve essere insegnata in tutte le sedi formative a partire dalla scuola perché entri nella coscienza profonda dei futuri lavoratori e dei futuri imprenditori. Non solo regole da rispettare e obblighi da adempiere – conclude Recagno - ma piena consapevolezza che lavorare in sicurezza, oltre a tutelare la vita umana, aumenta la ricchezza di un paese, ne taglia alla radice una parte di costi sociali ed è motore per una sana competitività economica”.

Ufficio Stampa
CGIL Savona